Oggi vedremo se l’olio di palma fa male alla salute ed all’ambiente. Se è cancerogeno, che ruolo ha nella deforestazione e nell’innalzamento delle temperature. Quali le ragioni della sua diffusione nei prodotti alimentari ed i prodotti che non lo contengono.
Da diversi anni si parla dell’olio di palma nei prodotti alimentari. Ultimamente sono emerse voci molto critiche legate alle presunte responsabilità dei cambiamenti climatici originate dalla deforestazione e dalla coltivazione di massa delle palme nelle zone umide.
Cercheremo di fare chiarezza su questi aspetti per capire se realmente questo olio vegetale fa male alla salute e all’ambiente. Cominciamo ad elencarne l’origine e le caratteristiche.
Contenuti
Si tratta di un grasso di origine vegetale che si ricava dalla spremitura della polpa del frutto della palma da olio.
Viene coltivata nelle regioni umide del pianeta, come Indonesia, Malesia ed America Latina. E’ presente in moltissimi prodotti alimentari e cosmetici.
Dopo la spremitura, l’olio di palma grezzo viene raffinato con processi industriali per ridurne anche il grado di acidità. Subisce fasi industriali che ne fanno perdere le proprietà benefiche:
L’olio ottenuto dalla polpa del frutto della palma è rosso. Non deve essere confuso con quello ottenuto dal nocciolo e dal seme della palma che si chiama olio di palmisto ed ha proprietà e colore differenti.
Tra le sue varie caratteristiche, l’olio di palma:
Queste qualità lo rendono perfetto per le condizioni ambientali della produzione industriale.
E’ perfetto per i lunghi tempi di stoccaggio, il calore anche prolungato (sole, luce battente) in cui sono conservati i prodotti e la loro conservazione in contenitori non perfettamente chiusi (dadi, biscotti…) per mesi e spesso a temperatura ambiente.
L’olio di palma ha sostituito gli oli vegetali parzialmente idrogenati (per ridurre gli acidi grassi trans) ritenuti dannosi. Per questa ragione, ne è aumentato enormemente l’impiego.
In particolare in sostituzione di:
Viene utilizzato come stabilizzatore, conservante contro l’ossidazione e ammorbidente della consistenza nei prodotti dolciari, nelle creme, nei biscotti, e in molti piatti pronti, ma anche nei prodotti cosmetici, per la cura del corpo e la pulizia della persona, quali saponi, creme e shampoo.
Anche nei prodotti biologici ed equo-solidali lo si può spesso trovare tra gli ingredienti.
L’unico ambito dove non viene impiegato è nei combustibili. La United States Environmental Protection Agency lo ha escluso dai combustibili ecologici, perché le sue emissioni non rispettano i limiti di riduzione della CO2 richiesta per i biocarburanti.
Molte aziende usano questo grasso vegetale in diversi prodotti alimentari. Le ragioni sono di ordine economico, ma anche legislativo.
L’olio di palma si trova quindi nel pane, nelle merendine, nei biscotti, ma non solo.
Anche in creme di vario tipo sia salate che dolci, negli omogeneizzati e altri prodotti per bambini, nonché in diversi cibi pronti sia secchi che congelati.
Attenzione però, pur essendo un ingrediente altamente diffuso, non è sempre facile da individuare. Nelle etichette dei prodotti non viene quasi mai inserita la dicitura ‘olio di palma’.
Solitamente al suo posto si riporta una più generica voce ‘grassi vegetali‘.
SUGGERIMENTO: se volete rimanere consumatori consapevoli della propria salute sappiate che la soglia giornaliera accettabile per tutti i grassi saturi è il 10% sul totale delle calorie giornaliere.
Numerosi studi confermano che il consumo abituale di olio di palma tende ad aumentare in modo significativo la concentrazione di grassi nel sangue, dal colesterolo ai trigliceridi, innalzando l’indice di mortalità per patologie cardiovascolari. Il suo utilizzo incrementerebbe (ecco lo studio) la concentrazione di sostanze infiammatorie nel sangue.
È convinzione accreditata che stati di infiammazione cronica favoriscano lo sviluppo di patologie cardiovascolari, aterosclerosi, diabete e alcune forme tumorali.
L’uso di questo grasso nella sua forma esterificata (una pratica comune nelle industria alimentare) peggiora il profilo lipidico favorendo danni sul sistema cardiovascolare.
Nel 2013 l’Istituto Mario Negri ha condotto un’ampio studio che comparava diverse ricerche incentrate sulla correlazione tra olio di palma ed il suo impatto sulla salute. Lo studio evidenzia come tali ricerche trattassero solo gli effetti negativi legati all’alto contenuto di acidi grassi saturi dell’olio, legati all’aumento di rischio cardiovascolare e non all’insorgenza di alcuni tumori.
Il 3 maggio 2016 si è pronunciata sulla vexata quaestio anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).
E’ stato pubblicato un dossier che conferma i possibili rischi sulla salute connessi ad alcune sostanze potenzialmente cancerogene che si formano durante la raffinazione ad alte temperature (200°) degli oli vegetali.
Tra questi anche (ma non solo) l’olio di palma.
Stiamo parlando dei contaminanti da processo a base di glicerolo. Si tratta dei glicidil esteri degli acidi grassi (Ge), 3-monocloropropandiolo (3-mpcd), 2-monocloropropandiolo (2-mpcd) e relativi esteri degli acidi grassi.
Secondo l’EFSA queste sostanze «suscitano potenziali problemi di salute per il consumatore di tutte le fasce d’età».
Il gruppo di esperti scientifici dell’EFSA sui contaminanti nella catena alimentare (Contam) ha esaminato le informazioni sulla tossicità del glicidolo per valutare il rischio dai Ge, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l’ingestione.
Quest’ultimo è noto per avere potenziali effetti cancerogeni e genotossici, ovvero capaci di danneggiare le informazioni genetiche all’interno delle cellule e portare a mutazioni che possono degenerare in cancro.
L’EFSA ha messo in relazione il rischio per la salute alle quantità di contaminanti consumate quotidianamente, concentrando soprattutto l’attenzione sui più giovani.
La questione riguarda gli oli vegetali, le margarine e altri prodotti e l’olio di palma, finito nel mirino perché contiene quantità più elevate di sostanze potenzialmente nocive rispetto agli altri ingredienti citati.
I più elevati livelli di Ge, come pure di 3-mcpd e 2-mcpd (compresi gli esteri) sono stati infatti riscontrati in oli di palma e grassi di palma.
Per i consumatori a partire dai tre anni di età, le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze sono rappresentate da margarine, dolci e torte.
Nel valutare le sostanze genotossiche e cancerogene che sono presenti accidentalmente nella catena alimentare, l’EFSA calcola un cosiddetto “margine di esposizione” per i consumatori. Più tale margine è elevato più si può star sicuri.
In merito al 3-mcpd e relativi esteri degli acidi grassi è stata stabilita una dose giornaliera tollerabile (Dgt) di 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno (µg/kg di peso corporeo/giorno), mentre per il 2 mcpd le informazioni tossicologiche sono ancora troppo limitate per stabilire un livello sicuro.
Le conclusioni del dossier sono chiare: la stima delle esposizioni medie ed elevate al 3-mcpd di entrambe le forme, per le fasce di età più giovani, adolescenti compresi (fino ai 18 anni di età), supera la dose giornaliera tollerabile e costituisce un potenziale rischio per la salute.
L’olio di palma contribuisce in maniera rilevante all’esposizione a 3-mcpd e 2-mcpd nella maggior parte dei soggetti.
Non c’è da star troppo tranquilli, perché l’EFSA ha rilevato che i livelli di 3-mcpd e dei suoi esteri degli acidi grassi negli oli vegetali sono rimasti invariati negli ultimi cinque anni.
Il gruppo di esperti sui contaminanti nella catena alimentare evidenzia che i Ge sono un potenziale problema di salute per tutte le fasce d’età.
L’esposizione ai Ge dei neonati che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica.
Scoprite anche questi oli vegetali:
In questo quadro tutt’altro che rassicurante c’è per fortuna anche una buona notizia:
In attesa di questi progressi la palla passa ora ai gestori del rischio della Commissione europea e degli Stati membri, chiamati a regolamentare la sicurezza alimentare.
Questo dossier aiuterà a capire alla UE come gestire i potenziali rischi per i consumatori, che tramite l’alimentazione si ritrovano esposti a tali sostanze.
In Italia già si muove qualcosa. Alla luce del pronunciamento dell’EFSA, il ministro della Salute italiano ha chiesto al commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, di avviare con urgenza l’esame della questione all’interno dei gruppi tecnici.
Si invita dunque a valutare l’eventuale necessità di procedere all’adozione di misure (anche precauzionali) finalizzate alla tutela della salute dei cittadini.
Il ricorso a strumenti comunitari è indispensabile per garantire un approccio realmente tutelante, in quanto omogeneo in tutto il territorio dell’Unione, con l’adozione, se necessario, di misure uguali in tutti i Paesi, da parte delle autorità e del settore produttivo.
Negli ultimi dieci anni l’utilizzo nell’industria alimentare dell’olio di palma, in sostituzione di burro e margarina, ha registrato un vero e proprio boom.
Impiegato dalle maggiori industrie alimentari italiane e internazionali, per conferire gusto, consistenza, friabilità e croccantezza ai loro prodotti (da quelli da forno ai biscotti, ai cracker, alle merendine, ai dolci fino ai gelati), questo olio vegetale ha bassi costi di produzione, è insapore, versatile e resistente ai processi ossidativi e di irrancidimento.
Ad oggi mancano dati su possibili associazioni tra patologie tumorali e olio di palma, ma l’indagine lascia adito a pochi dubbi:
«Esiste una vasta letteratura scientifica che da tempo mette in evidenza con certezza l’associazione tra consumo in eccesso di grassi saturi e aumento del rischio di malattie cardio-cerebrovascolari.»
In particolare, l’Istituto Superiore di Sanità dice che:
Ora che le indicazioni in etichetta sono finalmente trasparenti e che sapete in che misura realmente l’olio di palma fa male alla salute, resta a voi la scelta se continuare a consumare o meno prodotti che lo contengano.
Ma come cercare di evitare il consumo anche indiretto dell’olio di palma? Meglio evitare l’acquisto di prodotti con ingredienti come grassi vegetali, scegliere prodotti palm oil free o preferire prodotti preparati direttamente in casa a quelli già confezionati.
Alcuni brand già non ne fanno uso, tra cui sia prodotti a marchio proprio (solo le linee biologiche) di alcune catene di supermercati:
Eccovi il nostro approfondimento di dettaglio con la lista dei prodotti senza olio di palma.
Ed eccovi anche alcune ricette fai da te senza olio di palma:
Gran parte delle bellissime e intricate foreste pluviali del sud-est asiatico sono andate perse negli ultimi anni per far posto alle coltivazioni di palma da olio, a causa del costante aumento della domanda da parte delle aziende alimentari. Stiamo parlando di regioni del sud-est asiatico come Filippine, Malesia e Indonesia.
Vediamo gli effetti a livello ambientale della sua coltivazione:
L’abbattimento di porzioni sempre più ampie di verde aumenta anche la produzione di gas responsabili dell’effetto serra. Le foreste, ricche di ossigeno, sono fondamentali per limitare le sostanze inquinanti nell’aria.
Anche i consumi d’acqua, di fertilizzanti, di pesticidi aumentano per via delle piantagioni di palma da olio.
Lo stesso Governo indonesiano ammette che l’85% delle emissioni di gas serra deriva proprio dal cambiamento dell’uso del suo suolo, ossia dalla deforestazione.
Il global warming è dunque in parte riconducibile all’invasione delle piantagioni di palma da olio.
Tutto questo accade con il beneplacito dei funzionari governativi locali. I quali spesso dichiarano le foreste come terra destinata a piantagioni perché “inutilizzata” e “improduttiva“.
Queste sono zone da secoli appartengono a piccoli agricoltori e a popoli indigeni che coltivano riso e legumi, raccolgo frutta selvatica, piante medicinali e materiale da costruzione, coesistendo con la Natura in modo pacifico.
I numerosi appelli e dimostrazioni internazionali e un’opinione pubblica sempre più informata sull’olio di palma e la sua presunta pericolosità, cominciano ad avere alcuni effetti concreti:
Non va nemmeno sottovalutato il ruolo dei Paesi importatori di questo ingrediente:
Va per esempio inquadrato in quest’ottica il radicale cambio di orientamento operato nel 2012 in Francia. Il Ministro del Budget Jérôme Cahuzac (l’equivalente del Ministero del Bilancio) e la Commissione Affari Sociali del Senato francese decisero di aumentare del 300% la tassazione dell’olio di palma.
Questa è la classica domanda da un milione di dollari e la risposta è: dipende.
Ci sono infatti delle coltivazioni piccole e familiari così come coltivazioni intensive e ad alta resa, come lo è del resto l’agricoltura organizzata su scala ‘industriale’ dei Paesi più sviluppati.
Le piantagioni più grandi si trovano nel Sud-Est asiatico, Indonesia e Malesia, dove le multinazionali hanno avviato – col beneplacito del governo locale – una sistematica opera di deforestazione per far spazio alle palme.
Invece in zone come il Sudamerica, questa coltivazione non è così diffusa e rimane in mano a piccoli agricoltori che producono e raccolgono i frutti della palma su una scala familiare con un minore impatto sull’ambiente.
Queste coltivazioni non creano danni all’ambiente, così come non hanno bisogno di pesticidi o di concimi per far crescere le palme in fretta. Il ritmo è più lento e la produzione dell’olio rispetta pertanto l’ambiente.
Ma come farebbero questi agricoltori a competere con le multinazionali?
Un alimento biologico non utilizza i pesticidi e concimi. In queste piantagioni bio invece non sono presenti, per cui non vengono assorbiti dall’olio che, di conseguenza, avrà meno residui.
L’assenza dei residui, rende il prodotto migliore dal punto di vista degli agenti tossici come succede con frutta e verdura biologica.
In ultima analisi:
Utilizziamo i cookie insieme ai nostri partner per personalizzare i contenuti e gli annunci pubblicitari, fornire le funzioni dei social media e analizzare il nostro traffico.