Il Colchicum è una pianta molto velenosa, per le cui tossine mortali non esiste antidoto. I rischi di avvelenamento sono spesso dovuti alla somiglianza dei fiori con quelli dello zafferano, con cui vengono facilmente confusi. Scopriamo qualcosa di più di questo bulbo dai decorativi fiori rosa-bianchi.
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Si tratta di una bulbosa perenne, della famiglia delle Liliacee, una specie europea presente in tutte le regioni dell’Italia settentrionale, soprattutto in Toscana e in Sardegna. Molto diffuso nel territorio euganeo. una pianta erbacea con un bulbo ovoidale della dimensione di una noce, profondamente interrato e coperto da parecchie squame brune. Fiorisce in autunno.
Il suoi fiori rosa o bianchi, dalla forma a calice, sono molto simili a quelli dello zafferano, anche se quest’ultimo è più grande e spunta in autunno, mentre le foglie e i frutti arrivano in primavera. Per questa somiglianza il colchico è chiamato anche zafferano bastardo.
Tutte le parti della pianta, ed in particolare il bulbo, sono velenose, per il contenuto in colchicina, un alcaloide molto tossico.
La pianta di Colchicum cresce in prati umidi e nei boschi di latifoglie, su terreni argillosi ricchi di humus sia a livello del mare, sia ad altezze che superano i 2.000 metri.
Di facile coltivazione, cresce in ogni terreno, ma predilige quelli con una buona quantità di sostanza organica e ben drenati.
Va piantato in autunno, dopo la fioritura, e non necessita di cure. Adatto a prati che vengano tagliati raramente o per bordure, l’esposizione ideale è soleggiata.
Sono sei le diverse specie spontanee:
La pianta contiene colchicina in tutte le sue parti, ma soprattutto nel bulbo e nei semi: si tratta di un alcaloide altamente tossico che rende la pianta velenosa fino ad essere mortale.
Il principio attivo della pianta tende ad accumularsi nei tessuti, provocando avvelenamenti anche se la sostanza viene assunta in piccole quantità.
I sintomi consistono in:
A volte basta anche solo il semplice contatto con il fiore per causare danni alla pelle. I sintomi da avvelenamento compaiono subito, entro le 5 ore dall’ingestione della pianta, accompagnati da febbre, che può persistere per alcune settimane.
Si ricorda che spesso avvengono casi di avvelenamento, ultimamente un’intera famiglia nel modenese: ancora una volta la pianta è stata assunta credendo che fosse zafferano!
Comunque dinnanzi ai primi sintomi il paziente va portato immediatamente in ospedale. Se il vomito tarda a manifestarsi, si consiglia di provvedere alla lavanda gastrica per far sì che lo stomaco si svuoti: bisogna agire subito perché se il vomito tarda a venire è più lontana la possibilità di cura.
L’acido tannico si è dimostrato un antidoto chimico abbastanza efficace. Ad assorbimento avvenuto, la terapia è sintomatica e consiste nel combattere:
Bisogna comunque continuare a vigilare sull’intossicato, anche quando appare in una fase di ripresa, perché in caso di aggravamento l’avvelenamento porterebbe all’immediata morte.
Cavalli e bovini abitualmente evitano di brucare la pianta. Capre e pecore invece possono mangiarla e sono piuttosto resistenti all’azione della colchicina, sebbene il loro latte possa divenire tossico per l’uomo: bisogna dunque fare attenzione.
Il latte di un animale che ha assunto Colchicum è molto pericoloso se bevuto dai bambini.
I bulbi contengono: colchina, colchiceina, amido, resina, tannino, zuccheri, acido chelidonico, salicilico e benzoico. Anche i semi sono altamente tossici: ne basta 1 solo per intossicare un bambino.
La colchicina è una sostanza alcaloide che interferisce con la divisione cellulare, inibendola. Non esiste antidoto. La colchicina oggi è stata realizzata di sintesi in farmacia: l’uso è strettamente riservato ai medici.
Il Colchico viene usato in omeopatia e in fitoterapia per combattere la gotta e la tachicardia. Negli ultimi anni i ricercatori hanno preso in esame la colchicina come possibile cura per i tumori.
Bisogna fare attenzione perché si tratta sempre di un rimedio tossico, anche come preparazione fitoterapica sotto forma di tintura madre, ottenibile dai bulbi.
La colchicina è invece utilizzabile come specialità farmaceutica, sotto stretto controllo medico, in alcune particolari patologie, quali l’attacco acuto di gotta e in caso d’epatite cronica. La sua attività antinfiammatoria è alla base dell’effetto antigottoso, ed ha proprietà diuretiche e analgesiche.
Fin dall’antichità questa pianta è stata utilizzata per la cura della gotta e provocò molti sintomi da intossicazione, soprattutto sul sistema nervoso e sull’apparato digerente. Proprio dalla sua tossicità arriva il suo utilizzo in omeopatia.
Sotto forma di granuli e gocce orali, si utilizza questa pianta per disturbi reumatici, infiammazioni dei reni e del tratto gastrointestinale, dolore e distensione addominali, flatulenza, nausea e vomito.
Altre piante e fiori velenosi di cui bisogna fare attenzione:
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