Ambiente

Il concetto giuridico di disastro ambientale

Oltre la responsabilità, la legge sanziona la condotta avventata ed il dolo che provochino un rischio potenziale

Partendo dal recente affondamento della nave da crociera della Costa, si può elaborare il concetto giuridico di disastro ambientale.

Il concetto giuridico di disastro ambientale

Il disastro ambientale della Costa Concordia

L’incidente verificatosi sulla nave comandata dal chiacchierato comandante Schettino potrebbe provocare, in seguito alla fuoriuscita incontrollata di carburante sulla costa antistante l’isola del Giglio, danni incalcolabili all’ecosistema circostante.

Tralasciando, in questa sede, l’analisi delle responsabilità – oltre a quella di Schettino, quelle della Costa crociere, anche in relazione al mancato funzionamento del sistema di gestione delle problematiche ambientali, di cui al D.Lgs n. 231/01, oggetto di una recente modifica, che ha introdotto i reati ambientali nella disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche – è opportuno soffermarsi sul concetto di disastro ambientale, tutt’altro che ipotetico.

Cos’è un disastro ambientale

Si tratta in maniera oggettiva di un evento dannoso o distruttivo che ha un forte impatto negativo sull’ambiente naturale e sugli ecosistemi. Provoca una grave alterazione o comunque un deterioramento dell’ambiente, sia in modo accidentale che intenzionale. E compromette seriamente la salute, la vita e l’equilibrio degli ecosistemi.

Un disastro può essere provocato da diversi accadimenti:

  • Incidenti industriali (come fuoriuscite di sostanze tossiche, esplosioni, incendi)
  • Incidenti ne trasporto di materiali pericolosi (come uno sversamento di petrolio da una nave cisterna)
  • Attività estrattive e minerarie intensive (il disboscamento eccessivo, l’inquinamento di una falda…)
  • Inquinamento e gestione inadeguata di rifiuti e scarti
  • Cambiamenti climatici e fenomeni naturali estremi (una alluvione, siccità)

Se, come conseguenza di uno di questi eventi, si configura un danno per la salute della collettività, questo è disastro ambientale. Quindi sono disastri la contaminazione di aria, acqua e suolo in una determinata area (ricordate Seveso e la diossina?).

Costituisce un disastro anche la distruzione di habitat naturali e perdita di biodiversità, così come l’Impatto a lungo termine sull’equilibrio degli ecosistemi distrutti: oggi in Italia su 100 mq di suolo 47 mq presentano una qualche forma di degrado. Il 14% della superficie italiana è contaminata da alti livelli di rame e l’1% presenta elevate concentrazioni di mercurio (Fonte: Ispra, Il suolo italiano ai tempi della crisi climatica, 2023).

Il disastro può anche costituire una minaccia alla salute umana e animale ma non va disgiunto dal reato di disastro anche il danno economico e sociale per le comunità colpite (il disastro del Vajont ad esempio).

La legislazione prevede delle norme e delle sanzioni per prevenire, gestire e risarcire i danni da disastri ambientali. Sono anche previsti strumenti specifici, come valutazioni di impatto ambientale, piani di emergenza e sistemi di responsabilità per gli inquinatori. Ma vediamo da vicino cosa dice la legge italiana e quali sentenze hanno creato la giurisprudenza in materia di danno ambientale.

Come definisce la legge il concetto di disastro ambientale

Ma cos’è e, soprattutto, come configurare il reato di disastro? Qui è necessario che l’evento abbia luogo oppure è sufficiente che una condotta avventata o un dolo ne provochino un rischio potenziale?

Il punto di partenza è costituito dall’articolo 434 del c.p. (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), in base al quale “chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti – fra i quali rientrano gli attentati alla sicurezza dei trasporti e degli impianti di energia elettrica e del gas, disastro ferroviario e altri disastri – commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene”.

In più occasioni la Cassazione ha avuto modo di sottolineare che per configurare il reato di disastro ambientale è sufficiente che la condotta metta in pericolo, anche solo potenzialmente, un numero indeterminato di persone.

Infatti, il requisito che connota la nozione di disastro ambientale, delitto previsto dall’art.434 c.p., è la ‘potenza espansiva del nocumento anche se non irreversibile, e l’attitudine a mettere in pericolo la pubblica incolumità‘.

Il termine “disastro” (nella specie: ambientale) implica che esso sia cagione di un evento di danno ambientale o di pericolo per la pubblica incolumità definito come ‘straordinariamente grave e complesso’ ma non ‘eccezionalmente immane (Cassazione Sez. V, n. 40330/2006).

Pertanto, basta che il danno si diffonda e metta in pericolo la collettività. Quindi è ‘sufficiente che ‘il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone’.

Questo vuol dire che per configurasi un reato di disastro ambientale, potenziale o reale, non è necessario che la catastrofe sia immane, e che investa un considerevole numero di persone, o un ecosistema di enormi dimensioni.

Strettamente connessa alla nozione disastro ambientale è la problematica relativa alle conseguenze risarcitorie/patrimoniali dello stesso: di recente, la Cassazione (11059/09, relativa al disastro ambientale di Seveso – anni 70, la nube di diossina.

La sentenza è presente all’interno del sito naturagiuridica.com, basta cercarla con il motore di ricerca interno del sito) ha affermato che anche il “semplice” – si fa per dire – “patema d’animo” sofferto dai cittadini, preoccupati per le ripercussioni sulla salute, causate dal disastro ambientale, deve essere risarcito come danno morale.

Il danno non patrimoniale del disastro ambientale

È giuridicamente corretto, inoltre, considerare l’esistenza di un danno non patrimoniale.

Può essere ravvisato nel patema d’animo indotto dalla preoccupazione per il proprio stato di salute e per quello dei propri cari. 

Tale turbamento psichico può essere provato in via documentale, ma anche per presunzione, e la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell’uno in dipendenza dell’altro, secondo criteri di regolarità causale.

La Cassazione ha spesso difeso gli interessi dei danneggiati da disastri ambientali. E la maggior parte è stata causata dall’inadeguatezza di coloro che erano preposti a prevenirli, e dall’assenza di un’autorevole e cogente normativa pronta a rendere obbligatorio e credibile un sistema giuridico di prevenzione.

Spesso chi inquina perfino in sede legale tende a minimizzare i danni provocati nel disastro da lui causato, quando non a deriderli.

Nel caso del verificarsi di un pericolo presunto a carattere pluri-offensivo, ad esempio, la Cassazione ha sottolineato che alla lesione dell’interesse generale alla salvaguardia dell’ambiente e della pubblica incolumità, si affianca il pregiudizio causato alla sfera individuale dei singoli soggetti che si trovano in concreta relazione con i luoghi interessati dall’evento dannoso, in ragione della loro residenza o frequentazione abituale.

Ove sia dimostrato che tale relazione è stata causa di uno stato di preoccupazione è configurato il danno non patrimoniale in capo a detti soggetti, danno risarcibile in quanto derivato da reato.

Di fronte a tale chiarezza interpretativa il Legislatore, dopo anni di discussioni, considera le sanzioni amministrative-pecuniarie più efficaci nel tutelare l’ambiente, perché in grado di colpire gli imprenditori nel cuore dei loro interessi economici.

E così, la necessità e la validità dell’adozione di strumenti anche penali nel settore del diritto dell’ambiente è sempre più procrastinata nel futuro.

La situazione del reato di disastro ambientale in Italia

Dopo l’entrata in vigore del D.Lgs n. 231/01 sulla responsabilità d’impresa, si è prospettata la necessità di recepire la normativa europea (direttiva 2008/99/CE).

Ma si è deciso che in Italia non si era ancora pronti a riformare completamente il diritto penale dell’ambiente, introducendo dei veri e propri reati ambientali, cioè un sistema organico di fattispecie punibili e relative pene da comminare.

Si è invece scelto la classica via all’italiana (Vabbuò, ja!) dell’impossibilità tecnica, infarcita con scuse più o meno sempre uguali a se stesse.

I Legislatori italiani hanno sentenziato che il recepimento della normativa comunitaria non può essere assicurato attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l’ambiente, perché costituirebbe un problema di quotidiana amministrazione della giustizia, pensate un po’, il quale ‘potrà costituire oggetto di un successivo intervento normativo’.

I reati ambientali in caso di disastro per la legge europea e italiana

Dieci anni fa il Legislatore sosteneva che ‘l’introduzione della responsabilità sanzionatoria degli enti assume carattere di forte innovazione nell’ordinamento.

Quindi, gli sembrava opportuno contenerne, perlomeno nella fase iniziale, la sfera di operatività, anche ‘allo scopo di favorire il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità che, se imposta ex abrupto con riferimento ad un ampio novero di reati, potrebbe fatalmente provocare non trascurabili difficoltà di adattamento’.

Il risultato finale è che il Legislatore si è limitato ad inserire, nel D.Lgs 231/01, soltanto quelle disposizioni strettamente necessarie a garantire l’adempimento agli obblighi comunitari scaturenti dalla direttiva 2008/99/CE, senza riordinare, ancora una volta, l’intera materia dei reati ambientali.

I pochi reati ambientali previsti sono tutti di natura formale, e hanno a che vedere con fattispecie di pericolo astratto. Fra le numerose fattispecie lasciate fuori dalla 231 rientra, indovinate un po’, quella relativa al disastro ambientale

In tempi più recenti si è giunti ad una svolta considerevole in materia di disastri ambientali. La legge numero 68 del 2015 individua la categoria degli ‘ecodelitti‘.

Ma ancora è presente una questione complessa che riguarda l’applicabilità dell’art. 434 del Codice penale sul disastro innominato, oppure dell’art. 452-quater c.p. (introdotto con la Legge n. 68/2015), per disciplinare in concomitanza i disastri ambientali o “innominati”.

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Andrea Quaranta

Andrea Quaranta è il fondatore di Natura Giuridica, unimpresa di consulenza specializzata in diritto dell’ambiente e dell’energia, che si avvale del sito naturagiuridica.com per informare e per dare visibilità ad attività e servizi di consulenza. Il sito ospita documenti di taglio tecnico, come commenti alle principali sentenze di diritto ambientale, approfondimenti giuridici, pareri legali ambientale. Fornisce a imprese, enti locali ed operatori del settore un aggiornamento costante, puntuale, preciso, professionale e servizi di consulenza specializzata in danni ambientali. Consulente ambientale ed esperto di gestione del rischio, fornisce consulenza normativa, progettazione di sistemi di gestione ISO 14001:2015; ISO 9001:2015; OHSAS 18001:2007; ISO 50001:2011. Laureato in Giurisprudenza a Torino, consegue la specializzazione in pianificazione economico-ambientale del progetto Trasferability and Renewability in Environmental Needful Development, Università di Perugia. Specializzato in diritto dell’ambiente, lavora presso uno dei primi studi legali specializzati in diritto ambientale (Studio del Prof. Avv. Franco Giampietro, in Roma). Collabora con tuttogreen.it in materia di diritti ambientali e nuove figure professionali legate alla tutela giuridica dell'ambiente, degli ecosistemi, della salute pubblica e delle aree protette.

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