L’incidente della petroliera Exxon Valdez avvenne nel 1989, ma 30 anni dopo, ancora danni!
Questo incidente cambiò per sempre la storia dei disastri ambientali
Il tempo fatica a cancellare gli effetti nefasti della fuoriuscita di petrolio nel mare. E anche a vent’anni dal 24 marzo 1989, quando la superpetroliera Exxon Valdez s’incagliò nel Golfo di Prince William Sound in Alaska disperdendo in mare 41.000 tonnellate di greggio, i circa 2.000 km di costa non sono ancora ‘decontaminati’ dalla marea nera. L’incidente della petroliera Exxon Valdez è il più grave disastro ambientale nella storia degli USA, con la perdita di 250.000 uccelli marini, 2.800 lontre, 300 foche, 140 aquile ed una cifra non quantificabile di pesci, invertebrati e piante marine. Senza contare i danni al turismo e ai residenti, in gran parte pescatori e nativi dell’Alaska, che vivevano principalmente delle risorse marine. Proviamo a raccontarlo.

Sommario
L’incidente della petroliera Exxon Valdez
La notte del 24 marzo 1989, la petroliera Exxon Valdez s’incagliò in una barriera sottomarina nello Stretto di Prince William, in Alaska. Fu l’inizio di uno dei più gravi disastri ambientali della storia, il cui danno ambientale devastante sull’ecosistema e sull’industria petrolifera si fa sentire ancora oggi.
La falla che si aprì nella chiglia della nave riversò centinaia di migliaia di barili di petrolio greggio nelle acque incontaminate dell’Alaska. Questo è forse il caso più emblematico di negligenza umana e di scarsa preparazione per gestire emergenze ambientali.
Cosa accadde quella notte: i fatti
La petroliera Exxon Valdez, di proprietà della compagnia petrolifera Exxon Corporation, stava trasportando circa 1,26 milioni di barili di petrolio greggio dalla Trans-Alaska Pipeline Terminal di Valdez, in Alaska, a Long Beach, in California. Intorno a mezzanotte, mentre navigava nello Stretto di Prince William, la nave uscì dalla rotta designata per evitare iceberg e si incagliò sul Bligh Reef, una barriera sottomarina ben segnalata.
Si stima che circa 260.000 barili (equivalenti a 41 milioni di litri) di petrolio siano stati riversati in mare. Questo lo rende il secondo peggior disastro petrolifero nella storia degli Stati Uniti, dopo quello della piattaforma Deepwater Horizon nel 2010.
Cause dell’incidente
Il capitano della nave, Joseph Hazelwood, era sotto l’effetto di alcol, mentre l’equipaggio era in sotto-numero e stanco a causa di turni troppo lunghi.
Ed Exxon non aveva fornito un supporto adeguato per la navigazione in un’area così pericolosa.
Un impatto ambientale devastante
Le acque dello Stretto di Prince William erano considerate tra le più ricche di biodiversità al mondo, ma il petrolio sversato coprì una superficie di mare di oltre 25.000 kmq, contaminando coste, isole e baie.
Impatto sulla fauna marina
Circa 250.000 uccelli marini morirono, soffocati dal greggio o privati delle loro fonti di cibo.
Ma anche 2.800 lontre di mare, 300 foche e 22 orche furono vittime dirette dell’inquinamento. I banchi di aringhe e salmoni, fondamentali per l’ecosistema e per la pesca locale, vennero decimati.
Oltre 2.000 km di costa furono ricoperti da petrolio, con gravi danni agli ecosistemi costieri e difficoltà enormi nella bonifica.
Impatto economico
L’incidente ebbe conseguenze disastrose sulle comunità locali, che dipendevano dalla pesca e dal turismo.
Nella sola prima settimana l’impatto economico di questa tragedia ambientale è stato di ben 218,6 milioni di dollari e relative a sole 4 specie animali, ma la Exxon ha corrisposto cifre per il ripopolamento del tutto inadeguate ai danni procurati.
Il turismo nell’area crollò, e perse subito 26.000 posti di lavoro, con un danno economico stimato in 100 milioni di dollari solo nei primi anni.
Mentre il settore della pesca subì perdite per 2,8 miliardi di dollari, poiché le popolazioni ittiche impiegano anni per riprendersi. Nel tempo migliaia di pescatori sono stati costretti alla bancarotta, con conseguenze letali per l’economia di sussistenza delle popolazioni native, ancora impaurite da quella contaminazione figlia del progresso. Aringhe e salmoni non sono più tornati ai livelli pre-incidente e molti pescherecci sono rimasti fermi al palo.
La risposta al disastro
La risposta iniziale fu giudicata inadeguata e lenta:
- Exxon e le autorità federali non avevano un piano di emergenza efficace per affrontare un disastro di tali proporzioni.
- Le tecnologie di contenimento si dimostrarono obsolete e inefficaci, sia per il contenimento del greggio, che per le barriere e le navi di recupero
- Le operazioni di pulizia coinvolsero migliaia di volontari, ma fu una lotta contro il tempo: gran parte del petrolio si era già disperso o depositato sul fondo del mare.
Nonostante i tentativi di bonifica, circa il 20% del petrolio sversato rimane ancora oggi nell’ambiente, nascosto sotto la sabbia delle spiagge o nei sedimenti marini.
Conseguenze dell’incidente 30 anni dopo
Dopo tanto tempo da questa sciagura petrolifera, la Natura fatica ancora a smaltire la letale intossicazione da idrocarburi. I trattamenti con l’acqua calda si sono dimostrati nocivi e si pensa che vi siano ancora 60.000 litri di petrolio nelle insenature del golfo, mentre gli animali continuano a mostrare i segni dell’inquinamento.
Uno studio della British Columbia University sugli esemplari dell’anatra Moretta Arlecchino presenti nel golfo di Prince William ha dimostrato che questi animali sono stati esposti ai residui petroliferi almeno fino al 2009. Gli scienziati dell’Alaska Science Center e del National Marine Fisheries Service, inoltre, hanno scoperto che la velocità di ripresa delle lontre è molto più bassa rispetto a quella prevista, dato che questi animali continuano a frequentare le spiagge contaminate e ad imbattersi almeno 10 volte l’anno negli olii residui.

A oltre 30 anni dall’incidente, l’ecosistema dello Stretto di Prince William non si è dunque ancora completamente ripreso:
- Diverse specie non hanno mai recuperato i livelli pre-disastro, con effetti a catena sull’intera catena alimentare marina, come le aringhe
- Altre specie hanno subito un declino irreversibile: alcune popolazioni non si sono più riprodotte, per esempio le orche locali
- Il petrolio rimasto continua a rilasciare tossine nell’ambiente

Di fronte a questa situazione sconfortante, resta un paradosso. La Exxon, condannata nel 1994 dalla Corte dell’Alaska a pagare 5 miliardi di dollari per ripagare i danni, dopo vari ricorsi se l’è cavata con poco più di 500 milioni di dollari.
Cambiamenti normativi
L’incidente portò a una revisione significativa delle normative sull’industria petrolifera:
Nel 1990, gli Stati Uniti approvarono l’Oil Pollution Act, che impose l’obbligo per le petroliere di avere scafi a doppia parete (per ridurre il rischio di sversamenti in caso di collisione), piani di risposta obbligatori per le emergenze, e una maggiore responsabilità finanziaria per le aziende petrolifere in caso di disastri.
Inoltre, Exxon fu condannata a pagare 5 miliardi di dollari in risarcimenti, poi ridotti a 500 milioni dopo anni di battaglie legali.
La lezione che ci ha dato l’incidente dell’Exxon Valdez
Non è un dramma ambientale accaduto nel passato, ma deve esser un monito per il futuro, perché ha dimostrato quanto possa essere fragile l’equilibrio tra la tecnologia umana e gli ecosistemi naturali, e quanto devastanti possano essere le conseguenze della negligenza.
Sono stati fatti passi avanti nella regolamentazione e nella sicurezza, ma il rischio di incidenti simili non è scomparso. Con l’aumento della domanda globale di petrolio ed l cambiamenti climatici che minacciano ulteriormente i fragili equilibri ecologici, la storia dell’Exxon Valdez ci ricorda che la responsabilità ambientale non è un’opzione, ma una necessità.
Come disse un pescatore locale dopo l’incidente: “Non si tratta solo di petrolio e denaro. Si tratta della vita stessa del nostro mare. E senza il mare, non abbiamo niente.”
Una goccia nella marea nera, che fa ancora paura…
Foto di copertina di PH2 POCHE
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Ultimo aggiornamento il 11 Giugno 2025 da Rossella Vignoli
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