Speciale vino senza solfiti: arriva, un giorno, quel momento terribile in cui sembra che la chimica studiata alle superiori sia ritornata a tormentare le nostre serate.
Quando leggiamo per caso la scritta “contiene solfiti” sulla solita bottiglia di vino…
Le domande che nascono da questa etichetta possono essere le più varie, ma nessun allarmismo, vi spiegheremo cosa sono i solfiti che importanza hanno nella vinificazione e come se ne possa fare a meno.
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I solfiti sono derivati dello zolfo e sono presenti in diversi alimenti come aglio e cipolla. E anche il corpo umano è in grado di produrli.
Nel caso del vino, durante la fermentazione delle uve questi rappresentano un sottoprodotto naturale, in quanto vengono prodotti dai lieviti.
Dobbiamo quindi accettare il fatto che un vino senza solfiti non esiste.
Quando leggete la dicitura “senza solfiti”, in realtà fa riferimento all’assenza di solfiti aggiunti.
Si, perché i solfiti possono essere aggiunti dal produttore nel mosto in quanto:
Negli ultimi anni il dibattito sull’impiego dell’anidride solforosa e dei solfiti chimici nella pratica enologica si è riacceso grazie al debutto di una nuova categoria di vini, quelli biologici, che anche l’Unione Europea ha recentemente certificato con un marchio di qualità.
Una delle peculiarità distintive di questi vini rispetto ai prodotti industriali o realizzati con tecniche tradizionali, è quella di abbattere quanto più possibile l’uso della chimica sia in cantina che in vigna.
Viene anche tagliata drasticamente la quantità di solfiti utilizzati da sempre come conservanti e antisettici da tutti i paesi produttori.
Nonostante la legge non proibisca l’uso dei solfiti nel vino, infatti, è noto che l’anidride solforosa ha effetti tossici e allergenici sull’organismo umano.
La stessa OMS ha fissato un limite di assunzione giornaliero pari a 0,7 mg/kg di peso corporeo.
In virtù di questo, dal 2005 i paesi dell’Unione Europea hanno dovuto recepire una Direttiva Europea riguardante l’obbligo di riportare in etichetta la presenza di solfiti o anidride solforosa nel vino e negli alimenti quanto le concentrazioni superano il tetto dei 10 mg/litro.
Il Regolamento Europeo approvato nel febbraio 2012, inoltre, ha fissato i limiti massimi di solfiti nel vino impiegabili come conservanti nei processi di vinificazione biologica:
Il ridotto contenuto di SO2 (anidride solforosa) nel vino da agricoltura biologica è un requisito ‘chiave’ nell’identificazione e nella valorizzazione di questo prodotto.
Si promuovono le pratiche di enologia biologica focalizzate sulla ‘genuinità’ del prodotto e sul legame ‘vitigno-terroir’.
Viene incoraggiata una filosofia vinicola orientata agli aspetti salutistici dell’alimentazione e alla tutela del consumatore finale.
Premesso ciò, è bene ricordare che – pur in minima parte – la presenza di solfiti nel vino ‘bio’ non è del tutto alienabile, mentre una piccola percentuale è prodotta in modo naturale durante il processo di fermentazione.
Occorre precisare che, nonostante l’uso dei solfiti a volte si renda necessario per la conservazione dei prodotti alimentari, non è da sottovalutare la crescente intolleranza del nostro organismo verso questa sostanza, comunque allergenica.
In alcuni soggetti particolarmente predisposti si possono sviluppare degli effetti collaterali.
Dal momento che ottenere una vinificazione totalmente esente dall’utilizzo di SO2 è un’idea pressoché utopistica, non resta che porre l’attenzione sulle tecniche adottate durante tutta la filiera produttiva e in fase di vinificazione, nonché sull’uso razionale e pianificato delle materie prime.
Il contenimento dei livelli di anidride solforosa più avvenire, infatti, in diversi passaggi della vinificazione.
In particolare, l’impiego di uve sane, abbinato ad un immediato inizio del processo di fermentazione alcolica, è uno dei modi più efficaci per abbattere la presenza di solfiti e non compromettere la qualità del vino.
Schematicamente possiamo riassumere gli interventi in questo modo:
Consiste nella cura dello stato di salute del vigneto, attuabile attraverso la difesa fitosanitaria nel periodo che precede la vendemmia.
Vengono applicate opportune tecniche agronomiche che consentono di scegliere le uve naturalmente più resistenti all’attacco parassitario e al marciume.
Si tratta essenzialmente di raccogliere le uve ad un grado di maturazione tale da mantenere nel mosto un Ph sufficientemente basso che prevenga così la formazione di microflora eterolattica.
Visto che è proprio nella prime fasi di vinificazione che è possibile tagliare drasticamente le quantità di anidride solforosa.
Le uve che giungono in cantina devono essere opportunamente selezionate, destinando ad altro uso i grappoli danneggiati o ammuffiti.
La fermentazione in assenza di SO2 deve basarsi sul monitoraggio continuo dello stato sanitario delle uve e sull’adozione di tecniche alternative all’azione antisettica dell’anidride solforosa che viene aggiunta al mosto per combattere la formazione di cariche batteriche o lieviti nocivi.
Altro espediente per contenere l’utilizzo di SO2 e innescare più precocemente possibile il processo di fermentazione alcolica nelle uve attraverso l’uso di lieviti selezionati. Questi fungono da veri e propri ‘starter’ed è bene scegliere lieviti che producano poca anidride solforosa.
In caso di uve danneggiate, può essere utile procedere con l’arieggiamento del mosto in pre-fermentazione per ossidare i composti instabili.
Pare che il lisozima (potente enzima antibatterico) sia una valida alternativa alla SO2 per evitare l’avvio della fermentazione malo-lattica nei vini bianchi.
Il metodo biologico ammette l’utilizzo di alcuni antiossidanti in sostituzione della SO2. Acido ascorbico e acido citrico, ad esempio, rappresentano due valide alternative naturali per l’azione antiossidante dimostrata anche durante il processo di imbottigliamento e per la catalizzazione delle reazioni ossidative.
La riduzione dell’impiego di anidride solforosa passa anche attraverso la protezione del vino dal rischio di ossidazione chimica o microbiologica.
Per questo motivo è opportuno limitare il contatto con l’ossigeno dell’aria:
Esempi di gas inerti utilizzabili in tal senso sono l’anidride carbonica, l’azoto e, con alcune limitazioni specifiche, l’argon.
Sembra scontato, ma la cura dello stato igienico-sanitario della cantina durante tutte le fasi della vinificazione è essenziale per limitare la proliferazione di microrganismi dannosi e batteri.
Vi siete fatti un’idea, al di là dell’aspetto tecnico? Quando vedrete l’etichetta ‘senza solfiti aggiunti’ saprete che è vino biologico o uve provenienti da agricoltura biodinamica.
In questi anni l’enologia si è spostata verso la ricerca di una viticoltura sempre meno invasiva ed improntata all’esaltazione dell’identità territoriale, attraverso un impiego sempre maggiore di vitigni autoctoni.
Porta- bandiera di questa “filosofia green” sono le aziende biologiche e biodinamiche, che hanno fatto del vino senza solfiti la propria nicchia di mercato.
Di recente emanazione è anche un rigido disciplinare, ma c’è chi fa da sempre un’agricoltura biologica senza additivi, dalla vigna fino all’imbottigliamento.
Nonostante scetticismi, questo tipo di vino riesce a conservarsi splendidamente nel tempo, sebbene vi sia un passaggio in botte. Un caso esemplare è quello del Barolo biologico.
Dunque, alla domanda: “E’ possibile bere una buona bottiglia di vino senza solfiti?”. La risposta è sì!
PER APPROFONDIRE: Vino biodinamico, che cos’è e quali differenze con il vino biologico.
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