L’economia circolare è una forma diversa di gestione delle nostre risorse che utilizza solo quelle necessarie per vivere e prosperare, ridando invece nuova vita a quelle già utilizzate, riciclandole.
Le risorse naturali sono in esaurimento, lo sentiamo dire da qualche decennio, spesso con il risultato di allarmarci, di iniziare grandi dibattiti e di sentirci in colpa, ma quali azioni concrete possiamo intraprendere? Perché è l’azione che fa la differenza tra il cinismo e la paranoia.
Le lezioni della storia dell’umanità non mancano: boschi scomparsi, terreni fertili diventati aridi o territori come l’Isola di Pasqua, un tempo lussureggiante, divenuto un luogo senza più alberi necessari per costruire utensili o riscaldare gli abitanti. Certo, ora abbiamo super container e sistemi di gestione che possono trasferire tonnellate di legna o grano da un parte all’altra del mondo in pochi giorni ma un’eccessiva fede nelle capacità razionali dell’essere umano rischia di renderci poco previdenti. Il mercato per come lo concepiamo ora non sembra molto lungimirante, quindi serve un piano alternativo.
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Il piano B è l‘economia circolare, qualcosa di semplice e fattibile che potrebbe segnare una svolta e spezzare il cerchio fatto da chi consuma senza discernimento da una parte, e da chi invece si preoccupa seriamente per la nostra sopravvivenza come specie, dall’altra.
Potremmo chiamarla anche riciclo ma questa concezione dell’economia, che ricordiamoci non vuol dire solo profitto ma gestione delle risorse necessarie per vivere e prosperare, si spinge oltre. Invece di estrarre sempre nuove materie prime e di gettare via quello che si rompe o che le mode condannano all’oblio, si tratta di ridare vita a quello che è già in circolazione. Per fare ciò non bastano le buone pratiche dei singoli consumatori, servono modelli di business che prevedano nuove funzioni come il design del riciclo e della riparazione, sistemi di baratto e condivisione, manifatture che smontano e riassemblano i vecchi oggetti.,
Stiamo parlando non solo di una sensibilità ma di una vera e propria strategia economica su larga scala, che secondo stime del World Economic Forum potrebbe valere quasi mille miliardi di euro, è quanto potrebbero risparmiare o recuperare le aziende che adottano un modello di business circolare. Un esempio sono i sistemi della cosiddetta sharing economy come AirBnB o BlaBlaCar che puntano su servizi e oggetti già in uso, invece di crearne di nuovi. Quello che si può fare però è molto di più, con benefici sia a livello occupazionale che ambientale.
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La tendenza nel mondo del lavoro è chiara: il declino dei lavori non qualificati. L’economia circolare potrebbe creare invece decine di migliaia di nuovi impieghi in ogni nazione. In Inghilterra le stime sono di 500 mila nuovi posti di lavoro nei prossimi anni. Facciamo un esempio: circa il 40% dei materiali elettrici non più utilizzati finisce nelle discariche, solo un 10% viene riciclato. In un piano di economia circolare potrebbero essere istruite delle persone per raccoglierli, per ripararli e per rivenderli, creando un indotto vero e proprio con diversi sbocchi lavorativi.
In questo tipo di economia del riciclo ad un imprenditore che vuole guadagnare creando una fabbrica di produzione, gli si può tranquillamente dire che aprendo un’impresa di riciclo il suo profitto può essere cinque volte maggiore. Non si tratta quindi di un’idea per persone alternative ma di un vero e proprio sistema economico che preserva l’ambiente e permette alla nostra società di prosperare senza privazioni.
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