Che cos’è il lievito e come funziona la lievitazione? Pane, dolci, pasta, pizza: molti dei prodotti che mangiamo sono prodotti che hanno subito un processo di lievitazione. Vi spieghiamo perché molti alimenti aumentano di volume lievitando.
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Forse non sapete che uno degli ingredienti che non dovrebbe mai mancare nelle nostre case, insieme alla farina, è il lievito. Infatti, qualora dovessimo rimanere senza nulla da mangiare, senza soldi, nel corso di una catastrofe nucleare, basta trovare un po’ d’acqua (non radioattiva, nello specifico) per riuscire quantomeno a mangiare un po’ di pane e sopravvivere…
Molti dei prodotti che mangiamo ogni giorno richiedono l’aggiunta di lievito, che li fa letteralmente gonfiare. Ma perché i prodotti crescono di volume e che esista una lievitazione naturale e una artificiale forse non molti lo sanno. Andiamo a scoprirlo!
In generale, si tratta di funghi microscopici monocellulari (cellule grandi pochi millesimi di millimetro), facilmente staccabili l’uno dall’altro e quindi ben adattati alla propagazione nei liquidi.
I lieviti sono responsabili della fermentazione alcolica. Alcuni utilizzano solo la respirazione aerobica, altri possono innescare un processo di fermentazione anche in assenza di ossigeno.
Nel primo caso i lieviti si combinano con l’ossigeno per trasformare rapidamente gli zuccheri presenti in alcol etilico, rilasciando anidride carbonica.
Nel secondo caso producono energia convertendo gli zuccheri in anidride carbonica ed etanolo. Questo alcol è fondamentale nella fermentazione delle bevande alcoliche, mentre nella lievitazione del pane l’alcool evapora in cottura, e l’anidride carbonica gonfia la pasta.
Ci sono poi dei casi in cui i batteri del genere Lactobacillus, presenti nelle materie prime, predominano sui lieviti fungini veri e propri ed innescano invece una fermentazione lattica che porta comunque alla creazione di gas e quindi alla lievitazione, che dunque è di tipo diverso da quella alcolica.
È il caso della pasta madre, che ospita anche una microflora batterica naturalmente presente nell’impasto di acqua e farina, contaminate dall’aria e dall’ambiente. Questi batteri lattici si sviluppano e fermentano, facendo gonfiare l’impasto, perché tale metabolismo produce anidride carbonica, oltre ad acido lattico e acido acetico.
Ci sono inoltre dei lieviti patogeni, in particolare la Candida albicans, che in caso di basse difese immunitarie o abbassamento dei batteri naturalmente presenti nel corpo umano, possono proliferare in modo abnorme e creare diversi disturbi. E perfino lieviti pericolosi, come il Cryptococcus neoformans, veicolato dai piccioni, che può causare una forma di meningite mortale.
Permette dunque d’innescare il processo di lievitazione dell’impasto, ovvero trasformare gli zuccheri in glucosio, alcool e anidride carbonica.
Affinché questo insieme di microorganismi possa svilupparsi e dar luogo alla lievitazione è necessario combinare diversi elementi:
Il processo di lievitazione ha diversi benefici:
In presenza o meno di ossigeno, questi funghi trasformano rapidamente gli zuccheri presenti (siano essi quelli del succo d’uva o quelli del mosto di birra), in alcol etilico, mentre al contempo viene rilasciata anidride carbonica.
È dunque il rilascio di anidride carbonica, dovuto al basso tenore di zucchero solubile delle farine panificabili, che fa lievitare l’impasto.
In tecnologia alimentare si distinguono non una, ma ben tre tipi di lievitazione:
La lievitazione fisica, di fatto, non si può considerare lievitazione vera e propria, visto che il composto è già, praticamente, lievitato quando lo inforniamo.
Funziona in preparati in cui l’introduzione dell’aria è data grazie al battere il bianco dell’uovo: l’albume è denso e battendolo con la frusta infiliamo tante bollicine di aria tra le albumine, le proteine dell’albume, che diventano così soffici. Non a caso spesso non bisogna mettere il lievito nei dolci che includono l’albume montato a neve.
Qui non esiste alcun processo di lievitazione, che è una reazione chimica, pertanto non si può chiamare propriamente così.
Quelle che invece sono lievitazioni vere e proprie sono le altre due, le lievitazioni microbiologica e chimica.
Quella naturale, tradizionale, buona, è la lievitazione microbiologica, perché ricordiamolo, i lieviti sono microrganismi viventi che appartengono al regno dei funghi. E si comportano da funghi a tutti gli effetti.
Vengono venduti a cubetti nei supermercati (o si possono “richiamare” da soli, con il lievito madre), sono vivi ma non si riproducono finché stanno in frigo e hanno invece bisogno di una certa temperatura per potersi riattivare.
Così vanno stemperati nell’acqua tiepida, a una trentina di gradi. Se la temperatura è troppo bassa rimangono congelati e non si attivano, se è troppo alta muoiono. E, morendo, non fanno nulla. Se la temperatura è idonea, loro mangiano (l’impasto del pane) ed emettono dell’aria, o meglio, dell’anidride carbonica.
Essendo però intrappolata nell’impasto, questa anidride carbonica non può uscire e rimane lì, sotto forma di tante bollicine, che danno una struttura tipica al pane o alla pizza che rimarrà stabile dopo la cottura. I lieviti, poi, moriranno in cottura ma dopo aver fatto il loro dovere. Inoltre i lieviti hanno anche un loro sapore, che si sente nel prodotto finale: è per questo che con la lievitazione naturale i prodotti da forno vengono più buoni.
La lievitazione chimica è invece ottenuta artificialmente: vengono inserite delle sostanze chimiche che reagiscono tra loro quando sono in presenza di calore. Nessun organismo vivente la attiva, ma nasce dall’unione di una sostanza acida e una alcalina in granelli (è quello che si chiama lievito istantaneo, generalmente il lievito per dolci).
Quando l’impasto, senza averlo fatto riposare, perché in questo caso non c’è nulla di vivo che deve agire, viene stimolato dal calore, le sostanze chimiche reagiscono a liberano anidride carbonica, che forma le famose bollicine.
Alla fine, la lievitazione chimica e quella microbiologica hanno un risultato simile, donano le bollicine di anidride carbonica all’impasto. La differenza sta nel fatto che il lievito chimico è più semplice e veloce da usare, ma è un mezzo, non un “ingrediente” che alla fine caratterizza il prodotto: è per questo che gli impasti a “lievitazione naturale”, alla fine, sono più buoni.
In cucina si possono impiegare diversi tipi di lievito, tutti con la medesima funzione, gonfiare l’impasto. Infatti, nutrito dagli zuccheri semplici il lievito rilascia anidride carbonica, che è quella che fa lievitare l’impasto, ed etanolo, che evapora durante la cottura.
Quello più usato in campo alimentare è il lievito di birra detto anche lievito di panetteria, che innesca una fermentazione di tipo alcolico, ideale per la panificazione ed i prodotti da forno.
Il lievito di birra è una miscela di funghi del genere saccharomyces cerevisiae, ed è quello utilizzato dal panettiere, che serve per fare anche il vino e la birra, conosciuto e utilizzato dall’Uomo da migliaia di anni.
Oggi è prodotto industrialmente e venduto sotto forma di panetti cubici pressati da 25 gr simili all’argilla da modellare. È una massa di cellule viventi e non va confuso con i lieviti chimici, preparazioni a base di carbonati e bicarbonati destinate solo a produrre anidride carbonica durante la cottura.
Può avere una lenta fermentazione costante e regolare, ma ne esiste anche un tipo caratterizzato da una fermentazione iniziale piuttosto rapida che pian piano diventa più lenta, di solito viene usato nei paesi caldi, perché permette di impastare velocemente il pane.
Costituito per il 70% da acqua, contiene miliardi di microrganismi, basti pensare che solo 1 grammo può contenere quasi 10 miliardi di cellule. Questo fungo permette d’innescare il processo di lievitazione dell’impasto, ovvero trasformare gli zuccheri in glucosio, alcool e anidride carbonica.
Il lievito o pasta madre è il lievito migliore, quello più naturale. È solo a partire dagli anni ’30 che comincia ad essere utilizzato il lievito di birra in panetteria, prima a livello industriale, poi anche artigianale.
Si tratta di una miscela di farina e acqua fatta ‘maturare’ a temperatura ambiente per un certo tempo, durante il quale la microflora – in cui predomina la coltura dei batteri lattici – naturalmente presente negli ingredienti e nell’ambiente stesso, ha il tempo di moltiplicarsi e fermentare.
In realtà nel lievito madre ci sono due tipi di fermentazione: quella lattica, responsabile di migliori caratteristiche organolettiche, e in minor misura quella alcolica.
Durante la lievitazione della pasta madre avvengono delle reazioni che favoriscono lo sviluppo di una microflora batterica. La fermentazione di questi batteri lattici all’interno dell’impasto porta alla formazione di acido lattico, acido acetico, acqua, anidride carbonica e metaboliti secondari. Tale massa acida è chiamata ‘lievito’ perché l’anidride carbonica la gonfia.
A seconda del tipo di farina utilizzata, del tasso di idratazione, della temperatura, dell’umidità e anche dell’ambiente in cui il lievito matura, si potrà raggiungere un’acidità naturale più o meno elevata, modificando l’aroma e le caratteristiche della miscela. A seconda della ricetta, è possibile modificare le caratteristiche della madre lievito naturale evidenziando o moderando l’acidità.
Si può partire da una semplice miscela di acqua e farina, oppure aggiungere una fonte di batteri vivi, che potrebbe essere un frutto fermentato (mele, albicocche) oppure un cereale (ad esempio il luppolo), così come yogurt, aceto, vino bianco…
Esiste anche in vendita una pratica opzione, la pasta madre essiccata. Contiene del lievito naturale ‘morto’ che deve essere riattivato da quello di birra, presente nel sacchetto.
L’utilizzo di lievito madre ha diversi vantaggi:
Il termine ‘madre’ designa una parte della miscela ottenuta da un trattamento precedente, che viene rinnovata e conservata secondo determinate procedure. I rinfreschi successivi con farina e acqua, a determinati intervalli di tempo, servono per andare avanti e mantenere sempre una certa quantità di lievito a disposizione.
La pasta madre è usato nella preparazione di dolci a lunga lievitazione come il panettone, il pandoro e la colomba.
Si tratta di un lievito di birra liofilizzato che può conservarsi più a lungo di quello fresco.
Quello istantaneo si presenta sotto forma di granuli e contiene degli stabilizzanti che permettono di riavviare l’impasto senza doverlo idratare nuovamente prima dell’uso.
Quello da reidratare andrà sciolto per 15 minuti in acqua tiepida prima di usarlo.
Chiamato anche lievito in polvere, contiene generalmente diversi componenti chimici (bicarbonato di sodio, bicarbonato di potassio o acido citrico, acido tartarico o fosfato di calcio, sodio) e un neutralizzatore (farina di amido o di riso).
Una volta a contatto con l’acqua, il neutralizzatore si scioglie permettendo ai componenti chimici di reagire tra loro causando il rilascio di anidride carbonica che causa la lievitazione.
Viene utilizzato solo in pasticceria per fare biscotti, torte, muffin, pasta frolla e non per il pane. Ma, sfatiamo un mito: la lievitazione chimica non fa male (se facesse male non lo venderebbero). Il prodotto è lo stesso, solo che da un impasto senza lieviti non si ottenere pane di qualità.
L’attività del lievito di birra è fortemente influenzata dalla temperatura e dall’umidità. Se i panettieri dispongono di speciali unità dette celle di lievitazione che mantengono calore e umidità ai livelli ottimali, in casa si possono scegliere vari posti dove mettere a riposare l’impasto per favorirne la lievitazione.
Infatti, a basse temperature non s’innesca il processo di lievitazione perché l’attività batterica si blocca. Ed il caldo eccessivo fa morire i lieviti, per cui bisogna avere un giusto livello di caldo per sviluppare il loro metabolismo.
L’umidità invece va preservata con vari stratagemmi, dal panno umido o il telo di plastica stesi sull’impasto alla ciotola d’acqua posta accanto in un posto piccolo e chiuso come il forno, alla nebulizzazione di acqua da uno spruzzino di tanto in tanto.
Di base, ricordiamo che i lieviti, oltre ai 38° cominciano a morire. Vediamo quali luoghi si prestano a mantenere la giusta temperatura di lievitazione.
Il pane ha una lievitazione molto più breve di un dolce, che contiene ingredienti che “appesantiscono” l’impasto e hanno bisogno di tempi più lunghi per gonfiarlo.
Il lievito di birra può essere usato come integratore per via del suo elevato contenuto di proteine, aminoacidi essenziali, minerali e vitamine.
Considerato un alimento probiotico, favorisce lo sviluppo di batteri buoni nel tratto intestinale e contribuisce al riequilibrio della flora intestinale. In particolare:
Si raccomanda di consumare al massimo 3 cucchiaini da tè al giorno di lievito in polvere o in fiocchi.
Disponibile in capsule o in pillole (con concentrazione di almeno 400 mg di lievito) è da prendere con un bicchiere d’acqua.
Si trova anche secco, sia in polvere che in scaglie, da sciogliere nello yogurt, nei succhi, nella zuppa al posto della pasta (attenzione che tende ad agglutinare il liquido), da spolverare sulle insalate al posto del sale.
Gli intolleranti potranno avere effetti opposti a quelli previsti, come disturbi digestivi e flatulenza.
Per evitare interazioni, non assumerne durante un trattamento farmacologico, specialmente di analgesici o antidepressivi.
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Contribuisce ad avere una fioritura più vigorosa ed a mantenere i fiori per tutta la stagione. Versate una miscela di lievito di birra mescolato con acqua (1 cucchiaio per 1 litro), è un ottimo fertilizzante, da applicare non appena i cespugli iniziano a fiorire
In cucina, sia per il pane che per i dolci, potrete sostituire il lievito di birra con altre sostanze, garantendovi un effetto lievitante temporaneo dell’impasto, per cui è bene aggiungerlo alla fine della preparazione, poco prima di infornarla.
Sappiate che 1 cubetto di lievito di birra fresco corrisponde a:
Mentre 1 bustina di lievito chimico per torte salate corrisponde a:
Chi è celiaco può usare il lievito di birra (fresco, secco o liofilizzato) perché non contiene glutine, ma dovrà fare attenzione al lievito fresco liquido, che viene addizionato con altri ingredienti e dunque può essere a rischio.
Quello in panetti si trova nel fresco del supermercato, mentre quello disidratato in polvere o in scaglie si trova in farmacia e in erboristeria e online. Esiste anche sotto forma di capsule da deglutire con acqua da usare però solo come integratore.
A seconda del tipo si avranno diversi tipi di conservazione e durata:
Vediamo ora quale tipo di lievito usare per le diverse preparazioni.
Si possono usare tutti i lieviti in polvere per dolci, quelli in venduti in bustina, che lievitano direttamente in forno, Usate l’ammoniaca per dolci principalmente per i biscotti. Sebbene sprigioni un forte odore in cottura, questo poi svanisce una volta raffreddati. Per ottenere torte particolarmente soffici meglio usare gli albumi montati a neve oltre al lievito. Per ottenere dolci di consistenza più soda, come il plumcake e muffin, andrà bene anche il bicarbonato da solo, purché sia attivato dall’acidità di uno yogurt. Non è indicato assolutamente il lievito di birra, specialmente per i pancake.
È necessario usare il lievito madre per garantirsi una lievitazione lunga e naturale fuori dal forno.
Per una lievitazione fori dal forno, meglio il lievito madre, che però conferisce un gusto acidulo che può non piacere, ma dona una fragranza e un aroma inconfondibili. Si può optare anche per il lievito di birra fresco o secco. Non sono indicati invece i lieviti in polvere per salati, né il bicarbonato e il cremor tartaro, che farebbe gonfiare i prodotti di panetteria direttamente nel forno.
È consigliato il lievito di birra fresco, in panetti, anche congelato, ricordandosi prima di utilizzarlo di scongelarlo. La macchina porta la lievitazione a temperatura piuttosto elevata, quindi va usato meno lievito della dose normale. Ne bastano 5-6 gr sbriciolati per 500 gr di farina. Il lievito deve essere l’ultimo ingrediente e non venire a contatto con l’acqua. Si può usare anche il lievito di birra secco, nella quantità di 7 gr per 500 gr di farina.
Per la preparazione di torte, plumcake e muffin salati va bene il lievito di birra sia fresco che secco, ma anche il lievito in polvere per salati che trovate in bustina. Si potrà usare anche il cremor tartaro, che è insapore. Per ottenere un impasto più solido e compatto è adatto il bicarbonato di sodio, purché usato assieme ad agenti acidi (yogurt, succo di limone, aceto) per innescare la lievitazione. Ricordarsi che ha un retrogusto marcato per cui va attenuato da ingredienti dal gusto deciso come formaggio, prosciutto e verdure.
Il lievito di birra fresco o secco è quello più indicato, anche la pasta madre è un’ottima scelta perché regala una fragranza inimitabile, ma è piuttosto impegnativa. Sono invece sconsigliati i lieviti chimici.
La ricetta tradizionale prevede un pizzico di bicarbonato. Se vi tenete ad avere una consistenza più morbida, aggiungete una punta di lievito in polvere per torte salate.
Premesso che in vendita esistono dei prodotti specifici, i lieviti per fare la birra sono sia il classico lievito di birra (in nomen omen), cioè Saccharomyces cerevisiae, che il Saccharomyces uvarum (Carlsbergensis). Il primo si usa nelle birre ad alta fermentazione per avere una bevanda dal sapore aromatico e fruttato. Il secondo è adatto a birre a bassa fermentazione, con un pronunciato aroma di malto. Inoltre si può scegliere tra il lievito liquido (una specie di mini-mosto in cui sono presenti cellule di lievito di birra) che però è di difficile gestione, ed il lievito secco in bustine che può essere immediatamente utilizzato, ed è più facile da usare.
Il lievito in panetti fermenta bene ma non si deposita in maniera ottimale.
Per fare il sidro si potrà usare sia il lievito di birra che un levito specifico per bevande ad alta gradazione.
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